Quanta Sicilia si respira a Torino, varcata la soglia dell’Antica Focacceria San Francesco. C’è Palermo, con i suoi sapori e i suoi colori, ma ci sono anche Fiasconaro con i celebri lievitati delle Madonie, Bonajuto con la mitica cioccolata di Modica e Florio che ha fatto la storia del Marsala (e non solo). E poi c’è Santa Rosalia, patrona della città, il cui culto è tra i più diffusi dell’Italia intera.


Certo non è come essere di fronte alla Basilica di San Francesco a Palermo, ma la nuova location torinese della storica insegna nata nel 1834 si difende bene. Il dodicesimo punto vendita di questo locale vocato alla cucina popolare siciliana ha infatti aperto in piazza Carignano, proprio di fronte a quel Palazzo Carignano, magistrale esempio di barocco piemontese commissionato al genio di Guarino Guarini. Qui nacquero Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, ma anche l’Italia intera (1861) per volere di quel grande politico che portava il nome di Camillo Benso Conte di Cavour. Chissà se all’epoca (gli anni all’incirca sono quelli) lo statista piemontese avrebbe preferito mangiare una focaccia schietta come preparava a Palermo Salvatore Alaimo (fondatore e antenato dei Conticello, storici patron dell’Antica Focacceria), invece di sedere nelle auliche sale del Ristorante Del Cambio che fa capolino proprio all’angolo opposto della piazza. Probabile è che il fautore dell’Unità d’Italia oggi potrebbe apprezzare questa unione gastronomica tra nord e sud a tavola che vede riunita, in una sola piazza, la cucina stellata e quella da strada, oltre al mitico gelato da passeggio (il Pinguino) che porta il nome di Pepino e che fu ideato nel 1884 da un napoletano trasferitosi in città.

Appena entrati un grande bancone regala quanto di meglio lo street food siciliano possa offrire: la focaccia o vastedda ca’ meusa (un piccolo panino tondo ricoperto di sesamo con milza e polmone di vitello), le panelle, le crocché di latte, i cazzilli (ossia le crocchettine di patate e menta), le arancinette al burro, al ragù siciliano ed alla Norma, lo sfincione, la caponata. Si sceglie, si mangia per strada, o si consuma sul posto nella grande sala interna dalle pareti rosso Florio (in onore alla famiglia siciliana e all’amicizia tra loro e i Conticiello) o nell’ampio dehors di fronte al locale. Ai tavoli, però, si possono consumare anche piatti siciliani come: la pasta alla Norma, ma anche quella con l’anciova; i bucatini con sarde; il timballo di anelletti al forno; la parmigiana di melanzane; le sarde a beccafico; la bistecca di tonno o, ancora, l’involtino gratinato ai pistacchi. E poi i dolci come la cassata, il cannolo farcito di ricotta, la “pistacchiosa”, fino alla degustazione di cioccolato dell’Antica Dolceria Bonajuto di Modica e, ovviamente, i gelati e le granite, servite nella tradizionale brioche col tuppo.






Qui tutto è made in Sicily (Molecola a parte, omaggio alla città): i vini bio di alcune realtà locali, come la cantina Baglio di Pianetto nel piccolo comune di Santa Cristina Gela o le altre cantine che compongono la carta vini (Cusumano, Firriato, Duca di Salaparuta, Tasca d’Almerita), insieme a eccellenze storiche come il marsala Florio. Siciliano anche l’olio, che arriva dal Premiato Oleificio Barbera, fondato in Sicilia nel 1894, le bibite Tomarchio e il caffè Moak di Modica. Ed è bello ritrovare anche la birra artigianale del birrificio Tarì di Modica vecchia conoscenza, online su questo blog dal 2013.

Una curiosità. Il prodotto di punta dell’Antica Focacceria S. Francesco è la focaccia. La focaccia o vastedda è, dicevamo, una pagnotta croccante preparata con farina bianca, acqua, pasta acida e sale che viene cotta nel forno a legna. Appena sfornata viene farcita in due varianti: la versione schietta o schetta, in cui la candida ricotta di pecora viene bagnata nello strutto e condita con l’aggiunta di trucioli di caciocavallo di Roccamena o di Godrano, così denominata perché il bianco della ricotta ricorderebbe il velo di una donna vergine che si dirige all’altare vestita di bianco. C’è poi la versione maritata, quindi sposata, con l’aggiunta di milza, polmone e trachea di vitello che vengono fatti bollire e poi insaporiti nello strutto all’interno del tianu (il tegame, per i non siciliani).