Bandiere, campane e vita…

Tempo di relax. Siamo seduti nel giardino nepalese del nostro piccolo e delizioso rifugio in Thamel, quartiere di locali, negozi e ristoranti di Katmandu. Il tavolino che vedete nell’ultima foto è dove facciamo colazione al mattino a base di uova strapazzate, salsiccia, patate al forno, pane e marmellata… Succo di frutta e burro sono stati eliminati perché prevenire è meglio che curare.
Oggi la città ci ha mostrato il suo volto magico e mistico, ma anche quello crudo e reale che accompagna il ciclo della vita.
Il caos regna sovrano, il traffico di Roma o di Napoli è ordine in confronto. Auto decrepite, moto ovunque (il casco è obbligatorio solo per chi guida e anche qui, come sotto il Vesuvio, c’è chi ci sale in tre), suonano il clacson veramente ogni secondo, le buche sono inevitabili, l’asfalto non esiste (a parte in new road, la prima e “unica” strada asfaltata del paese). È la stagione calda e secca: la polvere regna sovrana, Mauro si protegge con la bandana, io resisto. Gli odori sono indescrivibili: da quello acre delle spezie, a quelli delle fogne o delle pire che bruciano per accompagnare i defunti a nuova vita.

Questa mattina da Swayambhu Nath abbiamo visto Kath dall’alto in tutta la sua estensione. 365 gradini, uno per giorno, ci hanno portato in cima al monastero dedicato al dio scimmia. Macachi grandi e piccoli hanno accompagnato la nostra salita salutata da infinite bandiere di preghiera agitate dal vento. Il Nepal è un mondo di colori, perché così vuole la religione. Ed è bello. Prcepisci la sua energia. Dopo una visita ad un piccolo monastero buddista, il nostro vate ci ha accompagnato a Bouddha Nath, la piazza dove si trova la stupa più grande del mondo, costruita 2000 anni fa. La leggenda la attribuisce ad un re o a una vedova devota, fatto sta che decine di campane di preghiera delimitano il suo perimetro, la gente cammina e le suona. E lo abbiamo fatto anche noi. Il luogo è chiamato “piccolo Tibet” perché abitato dagli esuli del regno occupato dai cinesi. I monaci e le monache incontrano il nostro sguardo, ci sorridono, alcuni pregano, altri camminano. La spiritualità si respira… Si vive. Poco lontano da qui si trova il Shengen Dargeling Monstary che accoglie quanti vogliono avvicinarsi a questa religione. L’esterno è un colpo al cuore di colori, e nella mente scorrono le immagini del film “il piccolo Buddha”. L’interno traspira di sacralità, ci togliamo le scarpe ed osserviamo in silenzio. Mentre usciamo un monaco mi sorride guardosi proprio le scarpe simili alle mie e con uno sguardo sigliamo un’intesa.

L’ultima tappa è la più impegnativa. Arriviamo a Pashupati Nath, là dove finisce la vita. Qui avvengono le cremazioni secondo i riti indù e buddista. L’odore è indescrivibile, un pugno nello stomaco, come le grida di una donna che lungo il fiume, singhiozzando, piange la sua perdita. Voglio andare via, ma dobbiamo vedere da vicino i 108 tempietti dedicati a Shiva costruiti sulla collina…

Tornati nella frenesia del centro, ora ci prepariamo per la serata. La vita continua…

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4 risposte a “Bandiere, campane e vita…”

  1. Carissimo, l’esperienza che stai vivendo è bellissima.
    Così pare a me seduta alla mia tristanzuola scrivania.
    Un abbraccio grande e un bacione
    Mamma e papà

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