La cucina è donna? In Italia le donne con la stella Michelin sono 44: poche rispetto ai 312 uomini insigniti dell’ambito riconoscimento nel 2018, ma molte se si guarda alle 141 del mondo: il nostro Paese ha il primato del maggior numero di chef stellate: il 31%.
La cucina di genere è allo studio di un lavoro avviato dalla professoressa Silvana Chiesa, docente di Storia e cultura dell’alimentazione. Il lavoro prende spunto da una ricerca effettuata da sociologhe americane e riguarda il mondo della cucina italiana di cui si indagano strutture, linguaggi, carriere, competenze: “Ci sono molti aspetti da analizzare – commenta Silvana Chiesa – in questo lavoro. Affrontiamo temi come la leadership in cucina, partendo dalla storia: l’unico modello esistente è quello impostato due secoli fa dagli uomini. Gli ex domestici dei nobili francesi diventati improvvisamente cuochi professionisti, che per marcare la distanza dalle donne, cuoche di servizio, hanno organizzato le cucine in modo militare facendosi chiamare chef, cioè capi, indossando divise e instaurando una durissima gerarchia. La struttura della cucina – prosegue la professoressa Chiesa – è stata codificata dopo la Rivoluzione Francese da Marie-Antoine Caréme e da Auguste Escoffier, due grandi cuochi con un passato militare che hanno appunto trasportato in cucina con la gerarchia, le divise o con termini come brigate. Per secoli il modello è stato solo maschile e le donne che sono entrate nell’alta gastronomia hanno fatto un’enorme fatica. L’approccio della cucina di genere – conclude Chiesa – intervistando le chef donne punta a rimettere in discussione le regole di questa professione”.

Professione prevalentemente maschile, che ultimamente lascia spazio a un crescente interesse per il mondo femminile: basti pensare al premio assegnato da Michelin e Veuve Clicquot alla miglior chef donna dell’anno (Fabrizia Meroi del Ristorante Laite a Sappada) o al riconoscimento che la World’s 50 Best ha conferito a Clare Smyth designandola miglior chef donna del mondo 2018. Ma merita anche segnalare i lavori del summit mondiale per le donne della gastronomia Parabere Forum e la sezione Lady Chef della Federazione Italiana Cuochi.
Io ho incontrato due chef stellate che in Piemonte e in Emilia Romagna scrivono quotidianamente pagine della cucina italiana. Cosa le accomuna? La passione per la natura. La schiettezza, la sincerità, l’amore per la loro professione, il rigore con cui lavorano, quella luce negli occhi che guarda al futuro mantenendo ben saldo un passato fatto di affetti, tradizioni e segreti di uno dei mestieri più belli al mondo. L’essere donne con la D maiuscola, prima ancora di essere madri, mogli e chef.
Mariangela Susigan

La vecchia cascina che ospita il Gardenia dalla fine degli Anni Settanta (prima come trattoria e poi come ristorante d’eccellenza) è la sua casa. Qui Mariangela Susigan ha scoperto la sua passione per la cucina seguendo gli insegnamenti della madre, cuoca in Francia, della zia e della cugina con cui all’inizio lavorava. La stella arriva nel 2000, a consolidare un’esperienza brillante appresa sul campo, frutto di studi e ricerche e di tanta determinazione: “Ho un carattere selvaggio e deciso – ci racconta con il sorriso la Susigan – e questo mi ha aiutato in una professione in cui la figura della donna in passato non è emersa anche per la mancanza di indipendenza. Dalla mia generazione in poi le cose sono cambiate e oggi le giovani donne hanno la strada segnata in positivo da una maggiore libertà di scelta, consapevoli del proprio lavoro a tutto tondo”. La cucina di Mariangela Susigan non può che essere fortemente legata al territorio piemontese, alle radici che la rendono quel vulcano di idee che è. Dal Canavese e dalla Val Chiusella, dalla passione del padre per i boschi, ha ereditato un amore sconfinato per il mondo delle erbe che usa abitualmente in cucina e che la vede protagonista, insieme ad Alessandro Gilmozzi, di un libro appena uscito per Giunti: La cucina delle erbe spontanee (euro 25,00).
L’obiettivo dei suoi piatti è quello di dare eleganza alla materia prima, anche nelle preparazioni più semplici. Lo ottiene con un grande utilizzo della tecnica (anche in cottura) e della ricerca e rivisitazione di ricette del passato. Le erbe selvatiche sono protagoniste di diverse portate oltre che di un intero menù che si chiama “Essenze e consistenze” servito da aprile a giugno. Delle duecento erbe presenti in Val Chiusella, la Susigan ne riconosce una sessantina e lo deve anche all’abile lavoro delle magistre d’erbe del Club Amici Valchiusella con cui organizza spesso serate nel ristorante. La natura per Mariangela è ricerca di benessere, serenità: caratteristica che emerge nei suoi piatti come le zuppe legate alla via Francigena che nel Medioevo attraversava il Canavese portando pellegrini da ogni dove. Cereali, erbe, legumi, castagne, borraggine, aiucche, spinaci selvatici sono solo alcuni degli ingredienti di queste proposte del passato riviste con meticolosa attenzione per i dettagli.
Isa Mazzocchi

Una goccia di latte. Questa è la firma di ogni piatto che esce dalla cucina di Isa Mazzocchi, chef piacentina con il sorriso negli occhi. “Il latte è il primo nutrimento di tutti – spiega la Mazzocchi – ed è il senso della nostra vita: da lì parte ogni cosa. Ecco perché è il simbolo che accompagna le mie portate”. La vita, la maternità, la famiglia, l’essere donna, la cucina: c’è tutto in quella goccia di latte che racconta di una chef che ama vestire con la gonna (anche al ristorante) e che porta la sensibilità e la delicatezza del suo essere nell’alta cucina. La gonna rappresenta il suo emisfero femminile, quel lavoro matriarcale della mamma cuoca, della zia, della nonna materna di cui custodisce preziose ricette che rivede in chiave moderna. Isa Mazzocchi nasce in “osteria” come ricorda raccontando di quando a otto anni aiutava a preparare tortelli e anolini insieme alla sorella Monica. La sua cucina arriva a diciotto anni e la professionalità che la contraddistingue deriva da un mix di studio, esperienza, famiglia: “La scuola è fondamentale – spiega – per aggiornarsi e per rimanere con i piedi per terra; l’esperienza ti da modo di metterti in discussione; la famiglia è l’eredità più pesante da portarti dietro e va rispettata. Io devo molto ai miei genitori che mi hanno permesso di sbagliare, concedendomi la più grande libertà che può essere data ai propri figli”.

Il ristorante La Palta, stella Michelin dal 2012, racconta dunque di una famiglia, dei suoi valori, della sua ospitalità: con Isa Mazzocchi lavorano il marito Roberto Gazzola, la sorella Monica e il cognato Marco Sogni. La sala è una casa, i tavoli e la cucina il suo cuore. “Il mio essere donna in cucina – prosegue sorridendo la Mazzocchi – non è tanto diverso dal lavoro degli chef uomini: la professionalità, la serietà, il rispetto della materia prima sono gli stessi, ma a volte mi rendo conto di trattare tutto e tutti un po’ come se fossero miei figli; non mangio mai i piatti che sperimento: una madre non mangerebbe mai suo figlio. Non posso dire – conclude – che le donne abbiano una sensibilità maggiore degli uomini. Se penso a Georges Cogny e a Herbert Hintner, per esempio, in loro ho visto e trovato sempre una sensibilità e una delicatezza nel trattare le materie prime incredibile”.
Che la sensibilità sia una delle doti di Isa Mazzocchi è comunque un dato di fatto: lo testimoniano il suo modo di cucinare e di impiattare, il suo utilizzo preferenziale per le verdure che ama abbinare a tutto, dall’antipasto al dolce, vero passepartout che rende speciale ogni materia prima. Ma lei, che ama cucinare la carne e la selvaggina (come è raccontato nel volume La caccia di Igles e dei suoi amici, di Michele Milani) ha un segreto in più che la rende unica: la luce che ha negli occhi e che entra, insieme alla natura, dalle vetrate della sua bellissima cucina.
